venerdì, Maggio 3, 2024

Concorso Pesaro52 Nuovo Cinema. Premio Lino Micciché. David di Jan Tesitel

“Lieve portatore di handicap” è la diagnosi clinica buona per David (Patrik Holubar).
Vent’anni, grandi occhi smarriti e vigili, guardano un mondo incomprensibile, duro, difficile. Il suo handicap è quel solco profondo che separa due territori che non comunicano, dove chi abita dalla parte dei perdenti è il folle, il caso umano, l’uomo che non c’è.
E David non c’è, con il suo viso di bambino timido dagli zigomi troppo sporgenti sopra guance troppo incavate e labbra serrate che apre per dire pochissime frasi. Vive con una famiglia che certo non lo rifiuta, ma che inevitabilmente sbaglia in tanti piccoli comportamenti della quotidianità più banale, quella che si consuma intorno al tavolo da pranzo, o durante una gita fuori porta, o in quelle mille altre occasioni della vita in cui si va avanti senza porsi troppi problemi nei rapporti con l’altro.
Ma David non è un altro qualsiasi, ha una consapevolezza di sé profonda e silenziosa, acuita dall’ handicap ma resa inerme proprio da questa. Alla mercè di chiunque possa o voglia fargli del male, non è per questo meno capace di avvertirne la minaccia e, soprattutto, il dolore.
Il problema mentale, quale che sia, ne ha fatto un essere indifeso, ma gli ha lasciato intelligenza sufficiente per sentire il disagio di un’accoglienza marginale, di un amore imposto, quello che spesso circola intorno al “ritardato”, al problema di famiglia.
David decide allora di compiere un gesto di autoaffermazione eroica e commovente insieme: lascia la casa, la famiglia, la sicurezza di cui ha bisogno più di altri ed esce nel buio della notte con solo poche corone prese al padre.
Siamo nell’hinterland di Praga, e David va in città ad esplorare il mondo.
Ma della città magica non c’è neanche il ricordo, la Moldava scorre tra rive di periferia, nessun poema sinfonico al seguito. Grattacieli e ragnatele di sopraelevate, alte gru e metropolitane sferraglianti, dove capita anche che qualcuno si butti sotto un treno e così “ tutti devono scendere, per favore” gracchia un altoparlante.
Un homeless gli presta il sapone nella toilette e gli dà qualche dritta di vita, l’eros conosciuto sulle riviste porno diventa un peep show dove consuma le sue ultime corone, gli rubano le scarpe mentre dorme rannicchiato e la fame si fa dura.
Tentare il suicidio sull’alta gru che svetta alta sul profilo della città lontana è l’ultimo gesto di disperata, fallimentare autoaffermazione, quindi tutto rientrerà nell’alveo della più grigia normalità.
Nei suoi (padre, madre, sorella, cognato) si accenderà un lumino di umana condivisione della pena di vivere di David, forse il tran tran quotidiano, prima o poi, si riprenderà i suoi diritti e gli occhi di David si faranno sempre più grandi e interrogativi.
Non intende commuovere nessuno, Jan Tesitel, tiene bassissimo il profilo per evitare indignazioni inutili e reazioni emotive di prammatica da parte della platea. La storia narrata ha un’origine autobiografica, la famiglia come valore è il tema di fondo, ma quel che dà corpo e valore al film è la figurina smarrita di David, destinato a restare nella memoria così com’è, nessun particolare sfugge della sua figura acerba, sempre avvolta da un’oscurità azzurrina, quasi un’ombra silenziosa nella solitudine senza confini della città.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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